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Il vino triste

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Il vino triste 


La fatica è sedersi senza farsi notare.
Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
e ritorna la voglia di pensarci da solo. 
Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii, 
ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo 
esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro 
(l'uomo solo non può non pensare al lavoro) 
ridiventa l'antico destino che è bello soffrire 
per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano 
a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi. 

Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire, 
pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque 
può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi. 
Può sbucare una donna e distendersi in strada, 
bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo 
come un tempo una donna gemeva con lui. 
Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire 
e la vita non è che un ronzio di silenzio. 

A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite 
e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe 
che in quest'uomo trascorrono tiepide vene 
dove un tempo la vita bruciava? Nessuno 
crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze 
su quel corpo e baciato quel corpo, che trema, 
e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo 
giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme. 

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